Venerdì 15 settembre, presso la Cattedrale di Sorrento, sarà esposta la croce realizzata dal maestro ceramista della penisola sorrentina

Una serata dedicata ad un capolavoro in terracotta, composto da circa quarantamila pezzi, realizzato da Marcello Aversa, il ceramista originario del piccolo borgo di Maiano a Sant’Agnello, famoso per la presenza di opifici dove vengono prodotti, fin dal Quattrocento, laterizi per i forni a legna. La descrizione dei particolari dell’opera, servirà da un lato a svelare i significati nascosti e la simbologia utilizzata dall’artista e dall’altro ad animare un dibattito sul tema della Croce. Infatti, il manufatto a cui è stato dato il titolo “Vita semper Vincit” rappresenta proprio una Croce, sulla quale però prendono forma alcune delle scene più importanti della vita di Cristo. Viene qui rielaborata l’antica tradizione del presepe di Pasqua, con la raffigurazione di alcune scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento.
Presenzieranno all’evento l’arcivescovo della Diocesi di Sorrento-Castellammare, Francesco Alfano, il parroco della Cattedrale di Sorrento don Carmine Giudici e il critico d’arte francese Thierry Morel, curatore della Large Hermitage Museum Foundation. A moderare l’incontro sarà Giovanni Fiorentino, direttore del Dipartimento di Scienze umanistiche, Comunicazione e Turismo dell’Università della Tuscia.
Il vescovo Alfano, spiega così il significato della Croce: “Si tratta dell’annuncio più sorprendente e straordinario che possa essere trasmesso da persona a persona, in ogni angolo della terra e in ogni epoca della storia. La Vita che vince! L’Amore che si dona! Dio che si fa piccolo fino a condividere tutto di noi, persino la sofferenza e la morte”.
A questo pensiero si lega la personale interpretazione che Marcello Aversa dà a questo simbolo, per lui sinonimo di libertà: “L’avvicinamento a questa nuova tematica, inizialmente, era scaturito da un senso di sconforto che aveva segnato un momento particolare della mia vita e la Croce si presentava a me allo stesso modo dei primi cristiani come una cosa macabra e dolorosa da cui rifuggire. Col tempo, invece, mi sono reso conto che, paradossalmente, nonostante la mia fragilità umana, credere nella Croce mi avrebbe reso più forte e più libero”. La complessa composizione, alta 150 centimetri, vuole simboleggiare la vittoria della vita sulla morte, attraverso la rappresentazione di una vegetazione florida e lussureggiante che con fiori, foglie e rami fa da cornice alle storie della vita di Cristo in essa rappresentate.
Thierry Morel, in riferimento all’opera e alla molteplicità dei soggetti raffigurati, scrive: “Ogni microcosmo così creato può essere letto indipendentemente da tutti gli altri e se l’alleanza di soggetti così diversi può sembrare da subito singolare, un’osservazione minuziosa rivela che si completano, si fanno eco, si armonizzano in una composizione cruciforme perfetta”.
Don Carmine, invece, nell’introdurre la Croce si sofferma su un piccolissimo particolare riprodotto nella parte bassa, dall’osservazione del quale scaturisce un’interessante riflessione: “Una lucertola ed un piccolo roditore che riprendono vita dalle profondità del Nulla. Tutto nasce dall’essenzialità, tutto si rigenera dalla fiducia di chi sa che il Nulla e la Morte non hanno il potere di porre fine alle cose”.
Per Giovanni Gazzaneo, presidente della Fondazione Crocevia e coordinatore de I luoghi dell’Infinito: “Aversa con la grazia della sua arte racconta la storia più affascinante, quella che riguarda l’umanità di ogni tempo e insieme ciascuno di noi: da Adamo a Cristo la salvezza si fa immagine, di più presenza che ha il respiro della vita. In quelle scene miniate con maestria e ardimento i misteri della salvezza si mostrano nel segno della bellezza e insieme sono autentiche preghiere”.
Nel corso dell’evento verrà presentato anche un piccolo volume sull’opera con gli scritti di tutti gli intervenuti e le foto dell’opera.